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La Madonna della Misericordia In quella occasione fu pubblicato un Numero Unico che riportava fra l'altro uno studio del M° Anteo Ferretti su questo argomento che trascriviamo in parte: Nell'alto e basso Medioevo, quando le plebí del paesello, allora chiamato "Castrovetulo", vivevano quasi tutte serve della gleba all'ombra del turrito castello, indice di giurisdizione e potenza, a cui affluivano i migliori prodotti delle campagne circostanti, al popolo sofferente nella miseria più nera, un unico faro di civiltà e redenzione raggiava nella notte tenebrosa. Alta sul colle, in un mare di verde, quasi nave distaccantesi dal cantiere e pronta a salpare e gettar l'ancore in lidi lontani, una rustica chiesetta svettava nel cielo ed era l'unico faro di civiltà e promessa sicura di un'emancipazione morale e civile./p> Da documenti storici risulta che detta chiesa era chiamata fin dal 1290 San Cristoforo di "Castrovetulo". Gli anni si accavallarono, trascorsero i secoli. Le terre di Castelvecchio passarono dalla giurisdizione monastica dei Benedettiní di S. Lorenzo in Campo a quella di Guido di Montevecchio. Difatti nel 1500 il vicino castello di Monte Porzio rimaneva al suaccennati signori, mentre Castelvecchio passava ai duchi di Urbino: i Della Rovere. Il 7 Agosto 1649, Vittoria, figlia di Francesco Maria, ultimo duca di Urbino, vendette il castello e la proprietà di Castelvecchio per una somma ingente, ai Principi Barberiní di Roma, i quali 5 anni prima avevano perduto il loro illustre zio Papa Urbano VIII che aveva governato la chiesa per 21 anni. Successívamente Castelvecchio fu appodiato a Mondolfo per oltre un secolo. Dopo l'occupazione francese fervevano in questa terra movimenti autonomistici. Instaurato il regno italico, Castelvecchio passò a Monte Porzio ma, tornato il governo pontificio, 6 luglio 1816, Mondolfo vide Castelvecchio nuovamente appodiato. Intanto la gloriosa e vecchia chiesetta parrocchiale si era ridotta in uno stato rovinoso. Le antiche mura cedevano agli insulti del tempo ed a nulla valsero le premure dei parroci e di tutti i fedeli della parrocchia. Nel Consiglio comunale di Mondolfo si decise di trovare i mezzi per riedificarla. Occorrevano circa 3000 scudi. La popolazione povera dei campi, i pochi del paese che commerciavano col carbone e pettinavano la canapa nelle buie botteghe artigiane, decisero di unire tutte le loro forze per la costruzione del nuovo tempio. Ai contributi del Vescovo di Senigallia, dei Principi Barberini, del Parroco, si unirono gli sforzi commoventi di tutta una gente onesta che aveva una fede profonda ereditata dai padri e gelosamente custodita. Si iniziarono i lavori. Due file di giovani donne e di vecchie, alternandosi, ogni giorno, si recavano al fiume con brocche pesanti sul fianchi, con anfore lucenti sulle teste, scalze, con in mano trattenuti i lembi incomodantí delle lunghe sottane. Altre, sotto il sole lucente, dopo aver fatto in fretta le faccende di casa, correvano al Cesano con gerle, con sacchi e ritornavano con sabbia e ciottoli. Quanti sacrifici non costò la bella chiesetta che oggi ammiriamo orgogliosi! In questi anni, 1811, avenne il fatto religioso cui vengono rannodate le solennità odierne. Nel castello Barberini era in venerazione una settecentesca Madonnina invocata dalle plebi del luogo con il titolo di "Madonna della Misericordia". Castelvecchio era senza chiesa. Allora ci si adattò per le sacre funzioni in stanzoni di proprietà dei Barberini presso il "Landrone" nel periodo invernale, e presso il "Poggetto" in quello estivo. Il parroco di allora Don Luigi Montanari (ecco perché la sacra immagine da alcuni era chiamata Madonna dei Montanari) fece portare in questi altari provvisori e stagionali la bruna Madonnina che fin allora era stata la dolce castellana dei Principi. Fu la prima "Peregrinatio Mariae" del luogo. La nuova chiesa fu aperta al culto nel 1825 e nel 1826 fu ultimato il campanile. In quell'anno morì anche il parroco Don Luigi Montanari. I Castelvecchiesi non vollero dimenticare la loro Madonna che li aveva seguiti per le strade del paese ed a Lei consacrarono nella chiesa nuova un magnifico altare con una grandissima raggíera in legno, decorata in oro zecchino. Da allora la cara Madonna di Castelvecchio è divenuta Celeste protettrice del paese. A Lei i Castelvecchiesí si rivolsero fidenti per la cessazione del morbo coleroso del 1855 ed il suo patrocinio fu chiesto nuovamente per la successiva epidemia del 1918 detta "Spagnola". Nel l° e 2° conflitto mondiale le nonne e le mamme del paese a Lei affidarono le giovani vite dei figli lontani sui campi di battaglia. Don Antonio Paolini, per quasi 40 anni parroco di Castelvecchio, a tutti noto per la sua indiscussa pietà e fede profonda, fu il grande devoto della Madonna della Misericordia, e rese negli anni del suo governo parrocchiale, solennissimo il giorno della festa di Maria. Non si è spenta ancora l'eco della indimenticabile manifestazione di fede che tutti i Castelvecchiesi tributarono alla Madonna della Misericordia allorché nel 1954 passava "pellegrina" per le varie contrade della Parrocchia. Due anni fa, nel 1959, per voto unanime, si decise di ricambiare la Sua misericordia deponendo una corona di stelle d'oro e preziosi diademi sul capo di Lei e del Suo Divin Figlio, ricorrendo nel maggio 1961 il 150' anniversario di pubblica venerazione. Fu rivolto un appello a tutti i figli di Castelvecchio vicini e lontani. Dalle Americhe, dalla Francia, Germania, Lussemburgo e Svizzera tutti generosamente risposero con entusiasmo. Venne subito restaurato l'antico organo parrocchiale da oltre 20 anni muto. Con sacrifici inenarrabili la popolazione dei campi e quella del paese fecero affluire offerte in denaro, in oro, in grano alla presidenza del Comitato per i festeggiamenti. Quando il lavoro per i preparativi ferveva più alacre e fecondo, l'Eccellentissimo Vescovo diocesano comunicava al parroco di Castelvecchio che la venerabile Effige della Madonna della Misericordia sarebbe stata incoronata, per augusta degnazione del Santo Padre, da un Principe della Chiesa e precisamente dall'Eminentissimo Cardinale Giuseppe Ferretto. Testo tratto da: "Senigallia e la sua
Diocesi STORIA - FEDE - ARTE" - Mons. Angelo Mencucci - Editrice
Fortuna 1994 |
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