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Abbazia di S. Maria - Veduta della navata centrale

Alla stessa latitudine del centro di Ferrara, presso gli oltre mille ettari dei boschi della Mesola, la statale Romea sfiora l'antico insediamento abbaziale di Pomposa, con la sua chiesa, il campanile - primo a spiccare sulla bassa - e un interessante residuo di ambienti conventuali. Fondata con ogni probabilità sin dal VI secolo, documentata a partire dall'874 (la cita un diploma di papa Giovanni VIII all'imperatore Ludovico II, riconfermata in una lunga serie di diplomi imperiali nel 1022, Pomposa vide coincidere il suo periodo di maggiore prosperità con il governo dell'abate Guido degli Strambiati, poi santificato, che la resse negli anni dal 1008 al 1017, dal 1019 al 1036, e poi ancora dal 1038 al 1046.

A quell'epoca il Cenobio aveva una ricca biblioteca e un'importante vita culturale: sembra che proprio qui Guido d'Arezzo elaborasse l'esacordo, un passo in avanti fondamentale per la notazione musicale del canto gregoriano. Fra gli ospiti più famosi dell'Abbazia ci furono anche Pier Damiani e, più tardi, Dante Alighieri. Un documento del 1317 conferma l'ampiezza delle sue dotazioni: da Pomposa dipendevano allora ben quarantanove chiese, sparse in diciotto diocesi dell'Italia centro-settentrionale.

Abbazia di S. Maria. Affiancata dal bellissimo campanile di forme lombarde, eretto nel 1063 e alto 48 metri, la chiesa di Pomposa ha l'aspetto di una basilica di tipo tardo-ravennate. Sorta inizialmente fra l'VIII e il IX secolo - le date di riferimento sono la distruzione di Classe da parte dei longobardi nel 751, e il diploma dell'874 di cui sopra si diceva, fu allungata di altre due campate (da sette a nove) tra la fine del X secolo e gli inizi dell'XI, vedendosi aggiungere in quel periodo anche l'atrio che tuttora la precede, con eleganti fregi in cotto, oculi grandi e piccoli variamente decorati, rilievi in pietra e bacini ceramici (gli attuali, però, sono ripristini). All'interno, sedici colonne provenienti da più antichi edifici romani o bizantini dividono le navate, la centrale delle quali è coperta da travature di legno. Nell'ambiente spoglio di arredi, l'attenzione è colpita dal Cristo in gloria ("in mandorla", come si dice in casi del genere dal motivo geometrico che inquadra la figura) affrescato nella volta absidale, di sfondo al presbiterio sopraelevato.

Anche le pareti della navata centrale sono coperte di affreschi, relativamente tardi rispetto all'arco di storia della chiesa. Sono tutte di opere di scuola bolognese trecentesca (quelli dell'abside, del 1351, si devono a Vitale da Bologna e aiuti), che raffigurano nella fascia superiore storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, in quella inferiore scene dell'Apocalisse, e in controfacciata il Giudizio universale. Sotto al Cristo in mandorla appaiono Evangelisti, Dottori della Chiesa e storie di Sant'Eustachio.Attorno all'altare rimane visibile un tratto dei mosaici pavimentali del VI secolo, non eseguiti per l'abbazia ma trasportati qui da qualche precedente basilica ravennate (probabilmente da S. Severo in Classe). In quello che era il dormitorio del monastero sono esposti pezzi provenienti dai lavori di restauro e di scavo sul complesso, che forma il Museo Pomposiano. D'interesse nell'ex fabbricato monastico sono anchei i pilastri angolari del cortile (uniche parti superstiti del vecchio chiostro), gli affreschi di scuola giottesca nella sala capitolare e, soprattutto, quelli eseguiti fra 1316 e 1320 da maestri riminesi alla parete di fondo del refettorio. Questi ultimi rappresentano l'Ultima cena, il Miracolo dell'abate Guido Strambiati e, al centro, Cristo fra la Madonna, S. Giovanni Battista, S. Benedetto e S. Guido degli Strambiati.

Di fronte alla chiesa sorge isolato il Palazzo della Ragione, dove gli abati di Pomposa amministravano la giustizia sui territori di loro diretta competenza. Costruito poco dopo il Mille, l'edificio fu però piuttosto modificato alla fine del '300, e di nuovo nel corso dei restauri.